L’utilizzo del Rhodesian Ridgeback nel suo ambiente naturale

Mi considero veramente fortunato ad aver avuto l’opportunità di far adottare cuccioli di Rhodesian Ridgeback nel Kruger National Park (KNP) in Sud Africa.

L'utilizzo del Rhodesian Ridgeback nel suo ambiente naturale: Kruger National Park

Questo parco, di dimensioni maggiori di molte nazioni, si estende per circa 500 chilometri e rappresenta l’ultimo baluardo di un ambiente naturale e intatto di un tipo particolare. Nel passato, ai tempi di Cornelius van Rooyen, il parco si estendeva anche più a sud di quello che oggi è Bulawayo, a 600 km a ovest del KNP, ed è proprio qui che van Rooyen selezionò il Lion Dog originale, oggi conosciuto come Rhodesian Ridgeback.


I cambiamenti climatici hanno causato condizioni di siccità in gran parte del centro del parco, e la desertificazione porta una nuova sfida per gli animali selvatici, molti dei quali devono affrontare la lotta incessante per la sopravvivenza. Ma i nostri Ridgeback non sono predatori in quel contesto, nonostante molti dei piccoli ungulati siano molto prudenti nel loro rispetto e persino l’imponente elefante decida di avvicinarsi a loro con attenzione.
Questo è l’ambiente per il quale i nostri cani sono stati selezionati e questo è il luogo dove possono utilizzare le capacità e le caratteristiche fisiche di cui sono così riccamente dotati.

Ma quello che conta nel mondo del KNP è la capacità di sopravvivenza. La natura richiede due semplici regole per la vita in quel contesto: la prima è la sopravvivenza , la seconda è un po’ più facile, ma altrettanto importante: è la necessità di riprodursi.
I 22 Ranger della Sezione nel KNP sono autorizzati, secondo il loro contratto di lavoro, ad essere accompagnati dai loro cani durante il lavoro.

Questo approccio è particolarmente intelligente: quando ti concentri su questo o quel problema, puoi non essere del tutto consapevole di ciò che accade intorno a te, come le circostanze richiederebbero. Quel Rhodesian Ridgeback al tuo fianco è estremamente consapevole di ogni movimento che può essere causato da animali pericolosi direttamente intorno sia all’uomo che a se stesso. E non si fida di nessuno di loro. In effetti, arriva a guardare con disprezzo il suo umano quando questo si fa prendere dalla distrazione e infrange i principi di sopravvivenza più elementari. Ma comprende anche che i due sono una squadra, e che se le cose si mettono male, cadranno insieme: mai un Ridgeback ha abbandonato il suo umano.

Se il tuo cane “normale” lascia la protezione del suo umano, ad esempio scappando dalla cancello di casa alla ricerca di avventure, si stima che la sua aspettativa di vita residua si riduca a soli 30 minuti. Questo indipendentemente da quanto fosse sano; la sua condizione di salute ha poca influenza sulla sua capacità di sopravvivenza. Non abbiamo mai perso un Ridgeback in questo modo, ma questo perché loro non abbandonano mai il loro territorio se non sotto specifiche istruzioni.
Abbiamo dovuto imparare che qui un cane stupido è un cane morto, abbiamo imparato come impostare l’addestramento e come i requisiti fisici necessari non avrebbero potuto essere più insignificanti.

Chi è Scotty Stewart (ZA)

L'utilizzo del Rhodesian Ridgeback nel suo ambiente naturalet - Scotty Stewart

Sono nato ai piedi del Lion’s Head, a Città del Capo, Sud Africa, nel 1936. Nell’arco di un anno ci trasferimmo a Londra , quando nuvole di guerra si addensavano sull’Europa. Nel 1939 fui inviato a Bo’ness in Scozia a vivere con i genitori di mia madre, mentre lei e mio padre furono mandati a servire la patria in India.
All’età di otto anni ricevetti un terrier scozzese grigio, e da allora iniziò la mia vita con i cani. Era una piccola bestia piuttosto inquietante, e io lo recuperavo regolarmente dalla stazione di polizia, dove veniva portato da persone ben intenzionate.
Nel 1948 tornai in Sud Africa, passando per Bulawayo, Rhodesia del Sud. Da lì volai a Johannesburg per riunirmi con i miei genitori dopo una separazione di nove anni.
Non ero ancora tornato in Sud Africa da una settimana quando appresi tutto ciò che c’era da sapere sui Rhodesian Ridgeback. Erano cani molto popolari all’epoca; ogni casa sembrava averne uno. Trascorrevamo la giornata a casa di mio zio, nella periferia della città. Un gruppo di noi andò a fare una passeggiata, portando Topsy, che somigliava al cane di Gooderham. Ben presto capimmo di aver fatto bene a farlo: stavamo passeggiando lentamente attraverso l’erba alta quando Topsy ci sfrecciò davanti e saltò nell’erba davanti a noi. Aveva afferrato un lungo Rinkhals, o Cobra sputante. Lo prese tra le fauci e lo scosse violentemente, senza dargli la minima possibilità di colpirla. Lo sollevava casualmente lungo tutta la sua lunghezza, scuotendolo con forza nelle sue fauci, per poi rilasciarlo. Sono sicuro che la prima volta che lo scosse la sua spina dorsale si ruppe, ma immagino che continuò a farlo solo per assicurarsi che fosse innocuo. Se non fosse stata così vigile, qualcuno probabilmente sarebbe finito sopra il serpente, con gravi conseguenze; settant’anni fa non era facile curare i morsi dei serpenti.
Nel 1954 ci trasferimmo in una casa a 15 km dal centro di Johannesburg. Era una vita molto semplice. Producevamo la nostra energia elettrica e pompavamo la nostra acqua. Galline, capre, pecore e bovini vagavano liberamente, e non c’erano strade asfaltate, praticamente non c’erano strade. Scoprimmo molto rapidamente perché la maggior parte delle persone avesse un Ridgeback: erano molto resistenti alla babesia (simile alla febbre causata da morso di zecca negli esseri umani), che poteva uccidere un cane in poche ore.
Nel 1963 Anneliese, la ragazza della porta accanto (letteralmente), e io ci sposammo e avemmo due figlie e un figlio. Le ragazze erano entrambe appassionate di cavalli tanto che negli anni ’80 acquistammo dei terreni agricoli per ospitare un crescente gruppo di pony e cavalli. Fortunatamente, nostra figlia maggiore, Helen, che allora aveva dodici anni , contattò Laurie Venter della famosa Glenaholm e organizzò l’acquisto di una femmina di Ridgeback. La chiamammo Pippa, ma era Rockridge Lady Anne, allevata da ‘Smiler’ Howard. Ora eravamo irreveparabilmente legati ai Ridgeback.
Nostra figlia maggiore ci coinvolse ancora una volta, molti anni dopo, in quello che si rivelò essere il mondo più affascinante che un Ridgeback possa esplorare e mi diede personalmente il massimo piacere, ricompensa e arricchimento. Fu contattata da un Ranger di Sezione, Ralf Kalwa, che prestava servizio a Malelane nel Parco Nazionale Kruger: riuscimmo a collocare il primo Rhodesian Ridgeback registrato in uno dei pochi posti rimasti sulla terra dove la razza era stata selezionata e dove poteva di nuovo camminare accanto al leone, nello stesso ambiente in cui Cornelius Van Rooyen l’aveva creato più di un secolo prima.
Ralf fu l’inizio, e il suo Dusty fu seguito da una dozzina di altri esemplari della razza. Tutti servirono i loro esseri umani con dedizione, ma ben presto scoprii il segreto che permetteva a questi cani non solo di divertirsi, ma di sopravvivere, nella natura selvaggia dell’Africa e con i suoi predatori più potenti e letali. Non importava quanto fossero sani, ben equilibrati, ben angolati, del colore giusto, ecc. Era in realtà molto evidente quello che non avrebbero potuto sopravvivere senza: era tutto troppo semplice, dovevano essere intelligenti. In pochi mesi dimostrarono che in un ambiente semplice come il KNP, un cane stupido era un cane morto. Gli esseri umani lo avevano dimostrato molti anni prima. Quando tutto si riduce alla sopravvivenza, nulla è più necessario dell’intelligenza.

Scotty è presidente della Rhodesian Ridgeback International Foundation

Articolo presentato al RRWC (Rhodesian Ridgeback World congress), Lund 2016